giovedì 24 settembre 2020

 


ph. Nicola Guida

Certe scene sono sempre uguali. Uno scatto forte, secco, pesante, col tipico risuono degli spazi ampi e vuoti e l'accendersi dei neon uno dopo l'altro, quel leggero click seguito da un ronzio.  
La luce naturale dall'alto, di giorno, smorza un po' l'inquietudine, ma la notte la pelle è subito all'erta, il passo veloce, le azioni nervose. Ho i brividi sulle braccia (mia figlia le chiama bollicine), il fiato corto. Faccio cadere le chiavi e mi maledico per non avere un posto auto in superficie. 
Ci mettiamo sempre deliberatamente nelle situazioni peggiori, come se il bisogno di un piccolo pericolo ci facesse sentire più vivi o più dentro ad una storia, raccontata per immagini in scorrimento lento, dietro l'egida di un regista immaginario che conosce il segreto: sa che ogni cosa diventa possibile per chiunque in qualunque momento. Eppure quel che accade sa come prenderti di sorpresa, non è mai come te lo aspetti, non reagisci mai come credi di poter fare, non reagisci affatto. E subisci, come tante, prima e dopo di te. 

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