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giovedì 24 settembre 2020

 


ph. Nicola Guida

Certe scene sono sempre uguali. Uno scatto forte, secco, pesante, col tipico risuono degli spazi ampi e vuoti e l'accendersi dei neon uno dopo l'altro, quel leggero click seguito da un ronzio.  
La luce naturale dall'alto, di giorno, smorza un po' l'inquietudine, ma la notte la pelle è subito all'erta, il passo veloce, le azioni nervose. Ho i brividi sulle braccia (mia figlia le chiama bollicine), il fiato corto. Faccio cadere le chiavi e mi maledico per non avere un posto auto in superficie. 
Ci mettiamo sempre deliberatamente nelle situazioni peggiori, come se il bisogno di un piccolo pericolo ci facesse sentire più vivi o più dentro ad una storia, raccontata per immagini in scorrimento lento, dietro l'egida di un regista immaginario che conosce il segreto: sa che ogni cosa diventa possibile per chiunque in qualunque momento. Eppure quel che accade sa come prenderti di sorpresa, non è mai come te lo aspetti, non reagisci mai come credi di poter fare, non reagisci affatto. E subisci, come tante, prima e dopo di te. 

mercoledì 29 aprile 2020



Cosa ne resta
di me,
bucata e flessa,
dopo un temporale che
mi è piovuto dentro?
Lasciando vuoto
e suono di gocce
sulle pozze d'acqua?

Cosa vive
dello spirito saltato fuori e
colato via?



venerdì 23 settembre 2016


ph. Ole John Aandal

Il caldo a volte sapeva prendermi la pelle meglio di un uomo.
Mi attraversava, virava il mio stato verso l'inquietudine, scopriva la voglia di osservarmi.
Ero in attesa di qualcuno lungo la strada, aspettavo in macchina guardandomi nello specchietto, percorrendo quanto potevo vedere con indugio, il dettaglio dei capelli schiariti dal sole, ora rossicci, il profilo della mandibola, il lobo dell'orecchio. 
Sfioravo in punta di dita, saggiavo forme e reazioni.
Era la temperatura della sera, ancora bollente in quella parte di città. Un paio d'ore prima della cena, che forse avrei consumato in compagnia.
Le donne non si piacciono mai. Sono severe come credono siano gli uomini nel guardarle. Eppure c'è un'intuizione che serpeggia e ci dà accesso ad una conoscenza profonda di noi stesse, rendendoci attraenti in qualche modo. In fondo non ci cambieremmo con altre.
Era già autunno ma l'estate rimaneva sciogliendo le giornate in momenti come quello, che creavano aspettative.

lunedì 21 novembre 2011

l'altro Altrove_"Ritratti:Donne"

lunedì, 06 dicembre 2010
Ritratti:Donne_n.10




 Thilo Pulch - Prague
 
Certi giorni tira il vento. Tira dentro e sembra che ti sbricioli le ossa, specie quelle del collo, alla base della nuca. Chissà se è colpa del mare, chissà se sarà ancora così quando abiterò in collina…Certi giorni tenere duro e farcela non è uno scherzo, non è un soffio, certi giorni mi devo aggrappare ad un palo immaginario che ho a fianco e dirmi ‘ sono io, ho le spalle grandi sotto queste spalle piccole’. Devo tirare fuori il sorriso con le tenaglie, togliergli la guaina e sostituirlo a questa brutta linea che ho per labbra. Devo cercare tra i pezzi di legno e ferro vecchio sul fondo del corpo casomai fosse rimasto lì un po’ d’ego, e limare e arrotondare per rendere gentili le mani e gli occhi. Ma la domanda è sempre quella. Da quanto tempo non esisto?
martedì, 29 giugno 2010
Ritratti:Donne_n.9


by Bientôt Demain blog, Nathalie Dérouet

L’inizio era il suono. Prolungato e lieve di un toccarsi metallico. Poi si accompagnava il gesto. La stoffa frusciava nei palmi, sotto le dita che piegavano senza mai stringere. Ed ogni movimento era respirato, ed ogni figura compiuta nello spazio sonoro e segnico della trasparenza.
Veniva il momento dell’acqua. Versata. Raccolta. La pianta effusa andava ad inanellare il fiorame composto ed era come un completamento della scena cui seguiva solo l’assaggio, il sapore sulle labbra e nell’intero essere.
venerdì, 18 giugno 2010
Ritratti:Donne_n.8


Ero attrezzata per qualsiasi tipo di vita avessi scelto, il mio bagaglio di esperienze mi aveva resa versatile. Trovai un buco tinteggiato a grandi pennellate incostanti e arredai tutto con i libri: il loro peso sulle braccia corrispondeva a tutto quanto avevano insegnato, il riflesso nella schiena lo sopportavo in nome della conoscenza. Quello che il giorno portava fuori da quella soglia rattoppata non riuscivo neanche a dirlo, quello che portava la notte nella città opaca e tolta di speranza sarebbe stato meglio non saperlo. Io ormai ero oltre, non avevo possibilità di redenzione, mi ero troppo mischiata al sapore torbido che hanno le azioni di sopravvivenza. Le letture erano l’unica cosa ancora possibile.
venerdì, 26 marzo 2010
Ritratti Donne_ n.7


new york city up, Marta Silenzi, 2008

Benessere è un senso di pulizia della vista.
L’immagine nitida quanto la mente lucida. Freschezza ai polsi ed un profumo nuovo che mi sappia ispirare.I passi uno in fila all’altro veloci – camminatori coi libri sottobraccio, segugi di ragioni, costruttori di pensieri.E lo scorcio, la vertigine di seguire la storia fin dove mi porta, dato che l’ho intrapresa.E la voglia di conoscenza e di bellezza infinite, da qui a lassù. E in lungo. E in largo. 

lunedì, 22 marzo 2010
Ritratti Donne_n. 6



James Casebere, Tunnel #2, 2003

Scritta come inchiostro sulla carta, assorbita dalla pagina impregnata di me; vergata nel mio segreto Tagebuch. Definita come luce, tagliata nel buio che recinge e chiude più di quanto questa reclusione ordinata e secolare sappia aprire. Questa centenaria condizione non ha voluto impararsi, non ha indicato alcun punto di equilibrio o libertà divina, soltanto la negazione del sentirsi umani, soltanto l’insano potente errore originale.
venerdì, 05 febbraio 2010

Ritratti:Donne_n.5



Yuki Onodera

Pioveva tanto che non riuscivo ad alzarmi dalla sedia.
Pioveva che non avevo fiato.
Avevo giocato al rialzo e l’esito era annunciato, c’era stato un avvertimento da qualche parte e adesso mi pulsava nelle tempie in modo che non potessi ignorarlo.
Scansavo il sapore del sangue ma continuava ad invadermi.
L’errore era stato sicuramente guardarli, l’insolenza asiatica sbatteva contro l’ego impettito dei loro tight in un modo che l’uso non permetteva e non contavano neanche le ore spese su quei tacchi castigati che aggiungevano anni e toglievano identità.
Le ombre non hanno occhi del resto.
Non ero altro che collant strappati nel buio di una stanza mentre fuori pioveva.
giovedì, 28 gennaio 2010
Ritratti:Donne_n.4






Paulo Nozolino – Mão , Ole John Aandal – Never Try To Trick Me With A Kiss , Morten Andenaes – Air Rifle


Quell'ora della notte, tarda, stanca. Quella monotonia di treno, il sapore denso dell’attesa nella bocca, l’andare del tempo favorito da quell’imminenza che soltanto io potevo sapere e che condizionava tutto, l’attenzione, gli occhi, il mio peso sul pavimento, le voci nel corridoio. Ogni situazione precedente a quella era stata una preparazione, un allestimento, un incastro sequenziale e necessario e alla fine ero al convoglio di tutti gli sforzi, all’atto finale. Quella era una fine e il giorno dopo un inizio. Di vite, sistemi, interi ordini. Nascondermi non era mai stato un problema, non avevo mai avuto identità, ne’ mi serviva. Dovevo agire e sapevo in che modo, la questione terminava lì. Quella sera, entro venti minuti, quando avrei sentito zoppicare fuori dallo scompartimento.
giovedì, 10 settembre 2009
Ritratti:Donne_n.3





Lovisa Ringborg - Solitary Act I - from The Limbo Pictures

Dovevo ingoiare la punizione senza il minimo fremito, me l'ero imposto, ma non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Era il segno e la macchia della mia debolezza. E lei stringeva quello strumento di tortura con tale fermezza perentoria che non produceva la minima oscillazione. Più che l'amarezza della medicina, da quella distanza, percepivo il freddo del cucchiaio, il metallo assorbiva il gelo della stanza e mi trasmetteva brividi e vibrazioni, quasi risuonava la sua concavità riempita d'odio. Non so bene cosa fosse, quale metodo antiquato avesse deciso di adottare stavolta, ma intendevo l'onta della mia colpa, il suo diniego spietato si era manifestato in un lampo d'occhi e una breve contrazione delle dita. Eppure sarebbe stato così bello poter avere il mio bambino.
giovedì, 16 luglio 2009
 Ritratti:Donne_n.2




Jonathan Singer - Botanica Magnifica

Si cibava d'aria, di luci filtrate, di trasparenze. Passeggiava indolente nelle ore pomeridiane come avesse voluto fondersi con le specie esotiche della Serra Centrale. Era il suo posto quello. Quieto e odoroso. Soddisfava tutto il suo bisogno di panismo e poteva starsene ore da sola perchè quell'esperienza dei sensi e degli occhi non voleva condividerla nessuno con lei. A dire il vero erano tanti quelli che l'avevano progressivamente  allontanata. Quando inizi ad evitare i momenti conviviali con la gente è come se questa smettesse di fidarsi. Aveva fatto questo terribile errore, aveva lasciato aperto un canale troppo intimo. Nessuno poteva capirla. Il cibo non le serviva, la alimentava come non voleva dunque aveva scelto di non assecondarlo, di non assecondare la fame, la mancanza di energie. Si era rifugiata tutta nella forza della mente e nella fragilità dell'essere. I suoi rami erano esili e i suoi petali tremuli e delicati. Come una pianta. Ma a lei piaceva stare sola. Fuori dai commenti, fuori dalle raccomandazioni, fuori dagli sguardi preoccupati incollati alla sua figura come si fa con gli errori della natura. Le piaceva respirare, ascoltare i fruscii, confondersi tra le foglie....Decise di sedersi un momento sul cuscino vicino all'orchidea neve, ricordò che era soffice e color malva, poi più niente. Che strano, pensò.
martedì, 14 luglio 2009

Ritratti:Donne_n.1



Lovisa Ringborg - Holding breath, 2005

Rimase tesa ad occhi serrati. Decise che poteva mantenere aperto solo il canale dell'udito, era l'unica concessione disposta a fare, seppure ogni due o tre secondi doveva muoversi per mantenersi a galla. Gli allenamenti di apnea ora le tornavano utili, sapeva che quell'inspiegabile puntiglio di voler trattenere il respiro sott'acqua per migliorare i suoi tempi prima o poi le sarebbe servito a qualcosa. Ed ecco il momento. Una rabbia totale le aveva percorso tutto il corpo per finire dritta al cervello. Non poteva più sopportare una parola. Si alzò composta trattenendo ogni cosa dentro, chiese permesso come le era stato insegnato e uscì in giardino. Appena mise la faccia nell'aria serrò i pugni e corse al lago più forte che poteva. Due minuti dopo era nell'acqua, ma non con un balzo. Le avevano detto che bisognava avere rispetto delle superfici quiete. Si tolse le scarpe, le sotterrò vicine, e s'immerse piano, bagnando l'orlo del vestito un centimetro alla volta, fino alle spalle, fino al collo. Poi il mento, un respiro, e la bocca, poi il naso. Tenne gli occhi spalancati sul pelo dell'acqua per abbracciare tutta la trasparenza intorno. Li chiuse. voleva solo ascoltare il silenzio e l'incanto dell'acqua. Dopo un po' piantò i piedi nel fondo e rimase così.