lunedì 19 aprile 2021


 ph. Yvette Inufio 


E se facessimo il pieno dei ricordi?

E se partissimo adesso solo per gelarci i piedi nell'acqua del mare?

E se lasciassimo tutti a chiedere di noi, di dove siamo finiti, rubando una giornata a tutto e ad ognuno solo per sentirci pazzi a fior di pelle, solo per riprenderci quello che abbiamo perso con una folle corsa, con una serie di urla e risate da scemi?

E se ci baciassimo e lasciassimo che il vento si prendesse un po' della nostra saliva e la trascinasse sulle guance, sporcandola di sabbia?

Se andassimo e basta, andassimo senza una meta solo per trovare quello scatto da mettere tra le pagine, impregnato degli odori della giornata, con le nostre impronte sopra a ricordarci che c'è tanta vita umida e fertile da vivere scossi come un pezzo bop?

Svegliamo il letargo, stiriamo le rughe del viso, torniamo giovani, andiamo!



giovedì 15 aprile 2021

 


Ph. partic. Xenie Zasetskaya


I gesti. Le pieghe dei tessuti, il fruscio lieve, sempre inascoltato; il toccarsi di bottoni, lo scostarsi delle stoffe dalla pelle. I movimenti spontanei, inavvertiti, per coprire un imbarazzo, per assecondare un'emozione intima, quei movimenti inutili ma non innocui per chi osserva, per gli occhi delle persone che guardano, che colgono i frammenti, aspettano di raccogliere con le mani la rugiada perché sanno che lì si nasconde il significato della vita: nel brivido subito disperso, nel tocco delle dita, nelle microespressioni, nelle attese. Se non usiamo i sensi non abbiamo un corpo, se non guardiamo non vediamo niente e tutto scompare.



giovedì 24 settembre 2020

 


ph. Nicola Guida

Certe scene sono sempre uguali. Uno scatto forte, secco, pesante, col tipico risuono degli spazi ampi e vuoti e l'accendersi dei neon uno dopo l'altro, quel leggero click seguito da un ronzio.  
La luce naturale dall'alto, di giorno, smorza un po' l'inquietudine, ma la notte la pelle è subito all'erta, il passo veloce, le azioni nervose. Ho i brividi sulle braccia (mia figlia le chiama bollicine), il fiato corto. Faccio cadere le chiavi e mi maledico per non avere un posto auto in superficie. 
Ci mettiamo sempre deliberatamente nelle situazioni peggiori, come se il bisogno di un piccolo pericolo ci facesse sentire più vivi o più dentro ad una storia, raccontata per immagini in scorrimento lento, dietro l'egida di un regista immaginario che conosce il segreto: sa che ogni cosa diventa possibile per chiunque in qualunque momento. Eppure quel che accade sa come prenderti di sorpresa, non è mai come te lo aspetti, non reagisci mai come credi di poter fare, non reagisci affatto. E subisci, come tante, prima e dopo di te. 

lunedì 21 settembre 2020

collagemaking


Ho iniziato durante il lockdown.

Di tutte le parole usate ed entrate ormai nel nostro immaginario riguardo quel periodo di reclusione, lockdown è la più affascinante, il suono secco e insieme dolce di certi termini inglesi. Qualcosa che ha a che fare con chiavistelli e profondità.

Ho iniziato per tenere le mani occupate insieme a mia figlia di cinque anni, pennelli, colori, ritagli. Per sporcarmi le mani. Ma era da molto che pensavo al collage, da molto che praticavo la scelta delle immagini ed il loro utilizzo nei quaderni, mescolate alle parole. Sin da adolescente.

Già da prima che le immagini e le parole diventassero una professione.

La cosa, entrata nella routine giornaliera di quelle settimane, di quei mesi, è cresciuta in fretta, ha preso il sopravvento. Da sfogo creativo, reazione, magari terapia, è diventata un'effettiva forma espressiva, un altro mezzo di ricerca.


Quello che distingue un semplice usare le mani ed andare per tinte associate e ritagli combinati è l'arrivo del significato.  Il primo quaderno, non ancora del tutto concluso, si è preso i miei vecchi versi e li ha rinnovati in un grafia a matita semi nascosta, ambientata in alcuni scenari, nel tentativo di restituire un'atmosfera, una suggestione visiva e tattile grazie ad una carta cinese grezza e materica regalatami da un'amica e presa chissà dove. Erano le poesie a veicolare o le carte? Non so dirlo, credo l'istinto: non ho mai approcciato la pagina con un'idea preconcetta, è la costruzione a rivelarsi e rivelarmi a cosa stavo puntando, cosa stavo sentendo. Era così anche con i versi, un'automatismo indagatore, un andare a pesca di tutto quello che pesa e che resta più a fondo. La sensazione che avverto di più è il piacere di toccare e di vedere le carte, sfogliare i quaderni e vederli gonfiarsi e riempirsi dei giorni che scorrono e prendono un significato.

Il significato appunto. Tutto ne ha se resti in ascolto, se dai credito a quello che sale e che ha tanti modi creativi di venire a galla e liberarti.
E insieme al significato è arrivata la ricerca della sintesi, della crasi espressiva tra elementi diversi, con l'inserimento di componenti a me care come le polaroid, o il gioco di cancellazione e rivelazione di termini o frasi da stralci di libri, una sorta di metodo Caviardage per capire che la parola è il centro di tutto sempre, l'immagine trattata un sostegno e poi un dripping, a volte pesante a volte leggero, il legante.



Presto ho avuto voglia di quaderni di altri formati, quello quadrato è uno dei miei preferiti. 
La sperimentazione si è affinata, si sono imposte delle atmosfere cromatiche, delle preferenze sensoriali; i versi hanno lasciato il passo a messaggi e tensioni, suggerimenti, molliche di pane per chi ha voglia di guardare a lungo e di seguire il sentiero, d'interpretare, di lasciarsi portare. Soltanto accenni, strappati e incollati, quello che porta il giorno, militanze sfiorate, riflessioni notturne, sporcature ed eleganze.


Non è poesia visiva, non è  puro collage, non è vero Caviardagecut up, ma ogni pagina o cartoncino è un'autentica, libera espressione di quel misto di nuvole e scintille intorno e dentro di me, che respiro, ascolto Coltrane, bevo tè freddo o caffè nero, in quei momenti lontano da tutto in cui a volte vado a nascondermi e a ritrovarmi.

Tra le produzioni più interessanti fino ad ora credo ci siano due pieghevoli che hanno presupposto un minimo di progetto ma che in fondo hanno comunque risposto ad un intuito. 


Pensa è un piccolo depliant fronte/retro sui toni dell'azzurro che sfiora l'indicazione, il suggerimento, lavora sul frammento, induce alla scoperta e all'introspezione, tra schizzi acquosi e carte seriche.
Stesso modus per About Mad Ideas Provoke , più fumoso, più sporco, più giocato sulla fotografia in bianco e nero, allude all'ispirazione artistica, cerca una certa atmosfera.


Per chi è abituato a scrivere, spesso con troppa tendenza alla didascalia, questo tipo di lavoro più diretto e sintetico è una liberazione, un andare a briglia sciolta, un muoversi veloce che ha il supporto potente delle immagini e tutto un corredo di tecniche e contaminazioni cui attingere e con cui sperimentare senza limiti, con la soddisfazione di produrre molto in poco tempo e spesso di centrare un obiettivo.


*Per i dettagli, tutti i collage sono fotografati e riportati completi dei versi, dove usati, sulla mia pagina Facebook e Instagram.

mercoledì 29 aprile 2020



Cosa ne resta
di me,
bucata e flessa,
dopo un temporale che
mi è piovuto dentro?
Lasciando vuoto
e suono di gocce
sulle pozze d'acqua?

Cosa vive
dello spirito saltato fuori e
colato via?