Spuntava solo in inverno.
Sotto il periodo di Natale, quando ormai tutte le luci erano accese sulle vie e l’odore dei camini era diffuso. Quando l’aria gelava le mani e arrossava le guance. Quando qualcosa cadeva dall'alto e ricopriva gli umori d’indefinito.
Era come un colmarsi dei vuoti.
Un riempirsi delle ore sì, ma soprattutto un significare il nulla, un fare pieno le cavità.
Quando tutto questo accadeva, sorprendentemente qualche giardino aumentava di albore, una notte di dicembre, e questa raggiera piena e gonfia di petali bianchi e di profumo nasceva, seminascosta, bella, inspiegabile e senza nome.
Era una paesino comune, relativamente piccolo come tanti, cercava di distinguersi. Non poteva vantare storia o tradizioni. L’unica ricchezza che aveva davvero era il mare, molto esteso. Nelle notti invernali chiamava e ruggiva come risultato di grande rabbia, come per effetto di un’espiazione.
Erano naviganti quelli che lo sentivano ribollire. Gente che andava con le onde, fatta per stare dove non ci sono appigli, dove l’olfatto lavora forte e le ossa parlano un linguaggio loro. Marinai. Pescatori. C’era un che di nomade in quelle persone. Le più basse della scala sociale se aveva senso considerarne una. Non si erano mai allontanate da quelle acque e da quelle rive. Gli spostamenti erano brevi, finalizzati alla vendita, alla sopravvivenza della loro identità oltre che del respiro. Eppure, quel non stare troppo tempo a terra li rendeva erranti e randagi.
Era figlio di uno di loro.
Suo padre, suo nonno, tutta la sua famiglia indietro per generazioni era legata al mare.
La pelle scura anche in inverno, gli occhi chiari sempre un po’ acquosi, vecchi di sale e tante albe anche se aveva vent’anni o poco più. Le dita ruvide, le mani grandi. Era uno di loro.
Di notte leggeva, soprattutto in mare. Nei momenti calmi tirava fuori il libro consumato dalla tasca ed era altrove, coi piedi alzati sulla mensola, vestito pesante, cullato dal moto ondoso, racchiuso dallo spazio aperto, dai suoi suoni, dalle stelle e mai solo: quel senso di non fare abbastanza, quel buco indeciso lì al centro, quel vuoto, quell’irrilevanza di sé non lo lasciava mai. Il resto era inerzia. Non sentiva le sue radici o meglio non riusciva ad applicarle al suo presente. Non era che un anello di una catena, ossidata e in declino, in un momento storico privo di soluzioni per la maggior parte degli uomini.
L’ultimo anno era stato tutto così, un avanzare dei mesi piatto, senza promesse, che toglieva vigore alle prospettive invece che crearne.
Stare in mare aiutava, specie quando il resto del mondo era spento e si poteva stare a guardarlo a largo, dall’altra parte, ma non era sufficiente. Sentiva che doveva fare di più. Glielo diceva l’addome, dove si addensava quel magma di coscienza che lo aveva sempre caratterizzato.
Aveva temporeggiato in primavera, quando aveva avanzato ipotesi, fatto progetti alternativi, cercato risorse e trovato soltanto ostacoli; aveva rimandato in estate, stagione impegnativa e difficile, piena di discussioni e tentativi più che di lavoro positivo. Anche l’autunno se n’era andato con la solita insoddisfazione e con quel senso frustrante di atrofia. Doveva darci un taglio, rendersi migliore ai propri occhi, doveva fare. Fare. Fare.
Ma sforzi e volontà non bastano a far accadere le cose. La famiglia, che conosceva un solo modo di vivere e lavorare non lo capiva e non lo appoggiava; non aveva grossi mezzi propri su cui far leva; il paese in cui viveva non offriva molto in termini di apertura e innovazione. Era arrivato dicembre e la situazione non era affatto cambiata.
Una mattinata strana lo vedeva impegnato nel recupero delle reti, nella pulizia della barca, in quelle azioni di routine che lasciavano troppo spazio al pensiero. Continuava a sospirare insoddisfatto. Era curvo sulla schiena, piegato sulle gambe e dalla tasca posteriore dei pantaloni gli usciva il libro arrotolato che stava leggendo.
Ad un tratto il cambio del vento, l’arrivo del maestrale.
Alto, forte.
Un mutamento veloce del cielo, della luce, degli odori.
Quando arrivava il maestrale cambiava tutto. Lui lo sentiva da lontano, gli uomini di mare affinano un senso particolare per gli elementi e parlano con gli agenti atmosferici o per mezzo di essi. Il maestrale gli usciva fuori dal petto ed era un parto cerebrale, uno sfogo elettrico.
Arrivava da nord-ovest, da Zante a Venezia, ed era una spinta, una pulizia della mente e dell’animo, un’alterazione della prospettiva. Quel vento rinvigoriva, fortificava, liberava.
Prese con impeto il libro con la mano destra, lo aprì alla fine, dove di solito prendeva appunti a matita e in mezzo alla pagina scrisse: ADESSO.
Corse a casa a prendere i fogli, le ricerche, le analisi e le osservazioni messe insieme nei mesi precedenti e piantonò l’ufficio del vicesindaco per sette ore, bussando ad intervalli regolari, senza mai perdere fiducia o coraggio in se stesso e nelle proprie idee. Solitario ma saldo. Aveva deciso che quello era il momento di agire, che si sarebbe fatto ascoltare ed aiutare, che se fosse andata male magari avrebbe mollato tutto e ricominciato altrove, ma non avrebbe più fatto parte di quella insulsa catena, non avrebbe concorso all'esaurimento sterile di un meccanismo ossidato, in ogni modo avrebbe affrancato se stesso e riscattato la propria esistenza.
Tornando al piccolo borgo marinaro quella sera si meravigliò dell’aspetto del centro. Il vento aveva raffreddato l’aria, dovette chiudersi bene la giacca e tirare la sciarpa sul collo. Le illuminazioni di Natale scintillavano ondeggiando sui fili e sembrava che quel movimento producesse come un suono di cristalli che aveva il sapore della bellezza.
Le sue cavità erano piene. Le scarpe leggere, le braccia e le spalle senza peso. Era un uomo nuovo con un fondale nuovo intorno ed una bozza di copione in mano. Un uomo con una direzione.
Ci sono attimi giusti per fare le cose, momenti che danno un significato al nulla, che scoprono una strada dove prima non c’era, ricoprono gli umori d’indefinito, colmano i vuoti e riempiono le ore a venire.
Svoltò il vicolo e percorse l’ultimo tratto che lo separava da casa.
Forse era più attento di altre sere comunque vide qualcosa che non aveva notato in precedenza. Quasi nascosto, in un angolo del suo sciatto cortiletto d’entrata c’era come un bagliore tremulo e dorato.
Si avvicinò piano, piegandosi mano a mano.
La raggiera piena e gonfia di petali bianchi era appena spuntata, sinuosa e giovane, carica di un profumo fresco e sorprendente che faceva venire voglia di sorridere e accettare i prodigi del mondo senza farsi domande.
Si sedette a fianco del fiore stringendosi nel calore che sentiva dentro, rimandando l’entrata e il racconto in famiglia della grande notizia, restando felice per un po’ a guardare.
Era la notte del ventiquattro dicembre.
La notte di Natale.
Meravigliosi auguri di buone feste, con la speranza che ognuno di noi possa trovare nel prossimo anno quegli "attimi giusti per fare le cose, momenti che danno un significato al nulla, che scoprono una strada dove prima non c’era, ricoprono gli umori d’indefinito, colmano i vuoti e riempiono le ore a venire"
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