giovedì 13 marzo 2014

Riflettevo con un'amica giorni fa sulla reticenza delle persone a dare un'opinione argomentata.
Un giudizio, una qualificazione, un pensiero articolato e non limitato alla mera singolarità di un termine: bello, brutto, interessante.
Interessante di solito è una scelta confortevole, denota una certa riflessione e conseguente accettazione dell'oggetto come tale, presuppone un'intelligenza in qualche modo acuta pur senza esprimere alcunché. Interessante mette al riparo da richieste di specificazione aggiuntive.
A me piace la conversazione. Mi piace tanto, mi regala respiri intensi, grosse e piene boccate d'aria pulita.
Non mi piace dover fare domande. Parlare stentatamente, dover chiedere per poter conoscere, per poter ascoltare il pensiero altrui mi mette in una strana posizione che non amo, come di petulanza, di pretesa fastidiosa e inutile. Anche se credo non sia mail inutile approfondire le ragioni di chi ci cammina accanto. Se non si conosce il pensiero di quelli che abbiamo intorno, perché ci frequentiamo? Che cosa distingue le nostre scelte di frequentazione?

Bella questa canzone! 
E cosa fa di questa una canzone bella? Perché è bella per te?
Io voglio saperlo.
E non voglio sentirmi dire niente di specifico, voglio soltanto un'opinione personale, importante perché tua, una motivazione che possa finire per illuminarmi, che possa mostrarmi angoli che da sola non vedo, angoli differenti dai miei, ragionamenti che possano dare origine ad una conversazione edificante e possano farmi capire qualcosa in più di te.
Non so, ma in un mondo dove a nessuno interessa la nostra opinione, in un mondo dove si fanno le domande per convenienza e per convenzione, senza ascoltare le risposte, a me sembra magnifico potersi scambiare i pensieri generosamente, poter abbassare la guardia e mostrarsi per dire qualcosa di soggettivo e opinabile, poterlo affidare a qualcun altro e vedergli negli occhi la comprensione, la voglia di sapere di più, capire che ha attenzione da dedicarti - che sia per ascoltare o per dire la sua.
Riguarda la musica, i film, i libri - è chiaro - ma vale per tutto. Si tratta di comunicare e si tratta di condividere. Si tratta di fidarsi e di aprirsi.

E' ad esempio la parte che mi piace di più del mio scrivere libri: quando chi li legge vuole parlarne con me o scrivermi la sua, vuole dirmi che ne ha pensato, quale passaggio ha amato, su cosa non si è trovato d'accordo, cosa lo ha infastidito; mi trasmette la sensazione di una lettura non superficiale, mi fa capire che qualcosa di me è rimasto al lettore, che qualcuno mi ha cercata nelle frasi e mi ha trovata, che qualcuno ha trasformato la mia scrittura in immagini e viaggi del tutto personali, completamente suoi.
E' molto più che interessante.

Ovviamente non sempre si è disposti a tutto questo, qualche volta si deve cercare di non forzare chi le opinioni se le vuole soltanto tenere per sé, anche se lo trovo un gran peccato perché mi spaventa molto il tempo che passa e cancella, il tempo che allontana i momenti e non li riporta più e con essi quei pensieri non espressi, quelle frasi non dette, quelle attenzioni negate, quelle attese lasciate sospese.


Ronit Bigal. Holy smokes


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