Strade e tempeste. Procedeva liquido il cammino e regolare, un fraseggio stabile di asfalto e pneumatici che aveva il senso del progresso e il valore dell'attesa, che tutto si scatenasse in maniera decisiva, che tutto accadesse, quel che doveva accadere. Io me ne stavo nel mio angolo di camion, dietro il cerchio del volante che manovravo come una mia estensione, un emblema del mio ego - anche se probabilmente avrebbe dovuto esserlo di più la leva del cambio - ed ero tranquillo, in fondo tranquillo, come chi non ha nulla da perdere ormai. Il cielo minacciava e grugniva, mostrava i pugni e mi veniva da ridere con sarcasmo per questa coincidenza, per questo somatizzare degli agenti atmosferici e per il rispecchiarsi del basso in alto. Ero stanco, ero esausto di queste situazioni eppure sogghignavo, tanto valeva una volta di più. Trasportavo il mio carico e sarei arrivato al luogo e nell'ora indicata. Avrei attraversato il temporale oppure no, quella era la mia unica incognita ed ero disposto a rischiare l'esito. Serviva una persona come me per farlo. Servivo io.
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