lunedì 21 novembre 2011

l'altro Altrove_post "da una immagine"

venerdì, 19 novembre 2010


metaal - Bettina Neumann


reflections - Michael Nyman
 
Mattinale metallico, suono tecnico, conoscenza a edulcorare realtà scomode. Passaggi d'immagine in visioni e filtri. L'odore della plastica, dei materiali industriali. Un esercito di spinte e impulsi volti all'edificazione dell'individuo come arrampicate senza corda, come ventose sui vetri, come ragni femmina dal manto lucido e cangiante, stoffa che disperde colpe in virtù della bellezza e nasconde lo sforzo. Cieli tersi. Vento. 
martedì, 25 maggio 2010

bed of roses I, Marta Silenzi, may 2010


Camminavamo, presi di spine ad ogni angolo di vita, ma eravamo rose tra le dita e sui palmi, troppo morbidi per gli affondi, troppo tenui per procedere a morsi e strattoni.Sospesi e vitrei, fummo pietra nel muro del pianto, radice d'altitudine, tuffo in un letto di mare. Ci conservammo come i petali nella cera e la scelta fu di non scurire, di non andarsene mai. 



bed of roses II

lunedì, 24 maggio 2010


by Bientôt Demain blog, Jennifer Collier

Feci un abito delle sue parole scritte attraverso mondi ed ere. Me ne vestii per tutto l'a-venire. Consumai via di pensiero e condivisione i chilometri che aveva calpestato e detto. Tutto come fosse per  me sola. Arrivata dopo non so chi altro, arrivata a riempire, fermare, arrivata a volere tutto quanto era offerto e di più. Schivi di promesse ancora attraversiamo, sempre in cammino.
mercoledì, 17 marzo 2010

  
James Casebere - Row House, 1994

Quell’ora della sera che diventa notte, quel buio distante che viene a coprire e si dilata, invade e vince tutto tranne la luna, e le lampade sleali.
lunedì, 22 febbraio 2010

Immo Klink –
from Shelter
from European Communities

Mi cercarono invano per tutto il resto della loro vita.
Non potevano elaborare un simile nascondiglio, che poi non era tale, era solo la mia scelta ed in quanto inconcepibile stendeva sul mio mondo un velo d’invisibilità molto appropriato. Sparii.
E mi lasciarono ai miei giorni quieti, ai miei spazi liberi, a tutte le estensioni che chiamavano privazione e senza tutto quel loro essenziale che io avvertivo come un’invasione.
Mi lasciarono all’assenza della guerra dentro, al respiro, allo scorrere del tempo.
Le leggi del comune avevano preso a formarmi al centro del corpo una sorta di irritazione gassosa che aumentava con costanza ed ero disposta a rivedere parecchie delle conquiste della civiltà in cambio di una completa cancellazione del nervosismo. Ero persino oltre l’anticonformismo, diventato anch’esso di moda.
Avevo iniziato qualche decennio prima a percepire gli eccessi, li attribuivo ad un fattore di crescita ma erano invece una personalità già decisa e in forma. Erano una reazione sicuramente, ma la giudicavo sana e la scelta cadde sull’opzione dell’ equilibrio puro, cioè non quello basato sulla moderazione, ma quello fatto di simmetria armonica e sostanziale.
Rifiutai. Respinsi. Negai e ripudiai.
Infine bocciai ogni tentativo di manipolazione dei miei pensieri.
Mettere la mano sulla maniglia mi diede la prima scossa. Passare la soglia la ventata della piena, generosa, fulgida totalità.
martedì, 02 febbraio 2010





Axel Hütte

Unterer Truchsessweiher, 2004 
Elfenweiher 1, 2004

Era vetro l’aria di lassù.
Ci andavo per pulirmi l’anima e gli occhi.
L’inferno era tutto cittadino, morivo di velocità, scadenze, eccessi sociali, chiasso disarmonico e falsi obiettivi esistenziali. Prendere la macchina e scappare dove il vuoto significante sapeva ripristinarsi era la linfa, la vita, la ricompensa. Quelle erano le uniche notti possibili, gli unici giorni. Settimane fatte di accessori sovrabbondanti, borse cartelle, agende, elettronica e telefonia di ogni tipo si cancellavano in un solo bagaglio essenziale: svuotato il carico tornavo a riempire l’uomo, il volume dell’individuo schiacciato dai suoi strumenti di definizione tornava a respirare ed espandersi, tornava ad essere. C’era qualcosa di atavico che mi prendeva alle ginocchia, giganteggiava sulle mie debolezze e al contempo mi rinvigoriva. Anestetizzato la maggior parte del tempo, in quel posto tornavo a sentire lo scorrere di ogni cosa, dentro e fuori il mio corpo. Ed era una felicità silenziosa accordata soltanto sul presente.
lunedì, 11 gennaio 2010

Greyred Beech, Marta Silenzi

Filtrano assenze tra le altitudini. Immobilità e fremiti trattenuti. La coscienza che c'è stato un momento in cui tutto si è spogliato ed è caduto a terra, spostando la fascia colorata dall'alto in basso in un unico movimento di sonata, per far passare più luce. Filtrano assenze tra le altitudini, ricordi senza suoni, visioni di passaggi silenziosi, muti di rispetto. E l'odore freddo dell'inverno.
venerdì, 27 novembre 2009


Yuki Onodera - Portrait of second-hand clothes

Bastò respirare più a fondo di quanto avessi mai fatto prima. Fu un attimo di concentrazione assoluta. E di colpo non esistevo più.
X
lunedì, 23 novembre 2009

Laketree, Marta Silenzi, 2009

Il freddo umido del lago si spandeva lontano e in profondità. Era un grigio d'autunno comune eppure insolito, sembrava avere delle voci dentro, nella nebbia, nell'acqua, negli alberi. Ci andavo per pensare. Mi calavo la visiera sul naso, mi seppellivo nella sciarpa. Camminavo a lungo. Sentivo ad ogni passo le radici robuste e i fondali salmastri, toccavo i tronchi con le mani, li invidiavo. Forse sarei salito su quei grossi rami macchiati una volta, almeno una volta, forse avrei indugiato un po' di più sulla vecchia banchina, con la faccia sul punto più profondo del lago, a specchiarmi, chiedendomi come si può affogare in acque tanto quiete.  
martedì, 10 novembre 2009

Rob Hornstra
Abandoned house, Turgayak, Russia, 2003       Abandoned house, Karabolka, Russia, 2003

Strideva e crepitava ad ogni passo. L’assenza riempiva tutto ed era così totale da azzerare anche il pensiero. Toccavo con le mani e mi tagliavo la pelle sugli intonaci, sul vuoto, sul rumore che raccontava solo della fuga. Era freddo. Nelle dita, nel ferro e nell’aria. Era un freddo che produceva quasi suono, un sibilo desolato, un autoproclamarsi del nulla, della vacuità che si era insediata negli ambienti come durante un’occupazione.
Poi l’inserirsi di una tromba. Vagamente lontana.
È strana la melodia di una tromba senz'altro strumento.
Spiega la vastità e l’isolamento, come una didascalia sotto un’immagine.
giovedì, 24 settembre 2009


TRENTATREREMI - Mimmo Jodice

Il vento sulla faccia e gli spruzzi di sale, schiuma d'inverno, un là infinito che penetra e fende l'aria dentro, spinge in fondo e cosa c'è dall'altra parte? Cosa c'era quel giorno fatto d'acqua? Ci vedevo un fantasma, piantato lì al centro di quel taglio dritto sempre pronto a fare un sopra e un sotto. Mi guardava fisso e senza espressioni, una cera al butulino. Non fluttuava, non poggiava. Occupava uno spazio ma senza invaderlo, senza che fosse presente. Stava lì. Cieco. Fermo. Parte della marina, parte dell'inquietudine. Gli urlai di parlare, se aveva qualcosa da dire. Lui se ne andò spento da un interruttore, ma lasciò il peso della sua assenza a rovinare il mare e il cielo.

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