(Rocca Calascio 03.12.06)
...ti sei imbattuto in questa storia ed ora, che tu lo voglia o no, sei perduto in essa, come tutti noi...
(da Lady Hawke, 1984)
Voglia di camini e di coperte rosse
voglia delle note fonde del pianoforte e delle luci nella sera
voglia di porcellane bianche e tintinnii, atmosfere allegre, tinte calde
voglia di Blue Sunday dei Doors
voglia di sorrisi, di biscotti alla cannella, di cucine in disordine, di preparativi
voglia di piccole partenze che sono anche piccoli arrivi
voglia di sguardi complici e risate forti che splancano il torace
voglia di zenzero e ginepro
focaccine al miele
pasta sfoglia gratinata
voglia d'aria pungente sulle guance arrossate e di sciarpe calde attorno al collo
voglia di parole e di un libro di poesia
voglia di cose semplici e concrete
di un silenzio che risuona acceso dentro
di bellezza
di vivida serenità...
...alzare gli occhi e scorgere l'interno di un ampio salone scaldato da una luce d'ambra, il soffitto di travi in legno, la parete di fondo occupata dalla libreria...ciò che dà senso a un momento, ciò che dà senso a un intero pomeriggio...
“Il linguaggio è un canto orfico senza fine che governa con dedalica armonia un filo di pensieri e di forme che altrimenti sarebbero senza senso ne’ figura”
(P.B.Shelley)
L’andare labirintico delle parole, lo scorrere una sull’altra come fili di perle eghirlande di fiori piccoli e bianchi a impreziosire la pagina, a intessere di fibre d’oro un arazzo di frasi che lente prendono posizione e tracciano un disegno complesso ed efficace che svela il significato, che apre le porte della comprensione…
Iniziano così certe avventure di libri, certe vicende di viaggi all’interno di testi che hanno una luce sulla libreria.
Li tocchi con le dita per coglierne una vibrazione. Avvicini il viso per leggerne meglio i titoli muti tra le labbra ma, in realtà, lo fai per sentirne con le orecchie un richiamo, o con gli occhi magari, o con la pelle…I libri hanno modi propri di alzare la voce, di farsi sentire, di chiamare.
E ti ritrovi intrecciata in altalene fonetiche e linguismi, e ti cogli dispersa edestasiata fra radici ed etimologie che colgono la natura della parola, la vita dellaparola, la bellezza della parola, il suoi suoni tondi o taglienti, le sue accezionisingole o plurime che spiegano che ogni cosa esiste solo quando viene nominata,che ogni sottile sfumatura vibra leggermente ma rende tutto differente, che lalettura ha mille livelli da affrontare, da affondare, da affidare al pensiero e allariflessione per i contenuti, ma anche al palato, alle labbra, alle corde vocali per le pronunce ed ancora al gusto, al piacere, alla mente per i giri di frase, per la scelta del lessico, la felicità di una forma retorica, la perfezione di un’immagine…
Certe parole ti risuonano nella mente, girano in tondo con una loro perfezione insita, con il loro tono corposo, con le sibilanti, le sorde, le sonore, con i sinonimi e con i significati, i significati soprattutto…
…un’ardente percezione m’infiammò i sensi e accese un lume dove dimorava un buio intenso, dove l’oscurità era una landa fondente e carica di simboli segreti, immagini, allegorie…
"Se non sei nelle domanda, sei nella risposta (...)
-E se sono nella domanda?
-Allora risponderà qualcun altro, o risponderai tu stessa col tempo, con calma.
-E se sono nella risposta?
-Allora devi giocare d'anticipo, spiazzare, sgomentare, allibire la domanda."
(da Le parole non le portano le cicogne, Roberto Vecchioni)
"Nel tuo corpo c'è una perla nera,
nel mio corpo c'è una perla bianca"
da Musica
Yukio Mishima
giovedì, 02 novembre 2006
E hai mai
sentito parlare
della bellezza
del Paradiso?
La spontaneità,
la freschezza?
Pallide perle di rugiada,
limpide luminescenze
di istanti perfetti
e sorprendenti?
Hai mai chiesto a Dio
dell'Universo
e della quiete?
01.01.02
All Hallows’ Eve Day….
Halloween…una notte speciale più di qualche altra per chi ha spiriti amici da tornare ad incontrare….
E’ una nuova fase della natura, è una fine ed un inizio, è un cambio cromatico delle immagini ed un cambio climatico delle temperature, è il primo freddo che scopre fonti inedite di calore interno, e un capodanno da qualche parte di qualche passata epoca….
La festa di Ognissanti risale alla fine del VIII secolo, quando l’episcopato franco la sostituisce all’antico Capodanno celtico ma si diffonde lentamente e lascia il tempo alle tradizioni celtiche di espandersi e di germogliare, così, la notte tra il 31 ottobre e il primo novembre, gli irlandesi salutano la chiusura dell’estate e ringraziano per i raccolti estivi, accogliendo al contempo un nuovo inizio agricolo e una nuova stagione, credendo che i cancelli tra il mondo dei vivi e quello dei morti per una notte cadano lasciando spazio ad un ritorno degli ultimi sulla terra; si recano nei cimiteri per trascorrervi la notte tra canti e libagioni, e i dolci sotto i porticati e le lanterne ricavate dalle zucche alle finestre servono per ingraziarsi gli spiriti e per guidarne in qualche modo il cammino.
Yeats scrive che “In Irlanda il mondo dei morti non è tanto distante da quello dei vivi. Essi sono a volte così prossimi che le cose del mondo paiono soltanto ombre dell’aldilà”…
Residui di questo unico ritorno nell’arco dell’anno dei defunti si vedono anche in Italia, specie nel Nord, dove in questi giorni si apparecchia e si prepara da mangiare per un commensale che manca da tanto…
Noi non facciamo da mangiare per i nostri morti, ma andiamo dove riposano le ombre dei loro corpi, e tutto si tinge di una malinconica foschia mentre intorno la terra stende una sua armonia di toni e gradazioni che è l’anticamera dell’inverno, lo splendido limbo delle foglie cadute e dei figli caduti, le une metafore degli altri, come se ogni cosa, a pensarla in quest’ordine, potesse avere un senso…
Ieri sono stata molto in alto a guardare la sera avanzare di un’ora, nella cornice arborea di un paesino d’autunno, quando la foschia si stendeva sui monti violacei e ci si scaldava tra amici con i racconti e la condivisione di un momento sorprendente che dentro di me vibrava particolarmente e che spero che i miei fratelli lontani siano in qualche modo riusciti ad apprezzare, da diverse altezze, da più ampie distanze…
La notte del 31 mi apro all’apparire dei primi colori dell’imbrunire, respiro a fondo e predispongo il petto alla percezione del loro ipotetico passaggio, alla loro possibile volontà di posare una mano senza tatto sulle mie spalle e sorrido al pensiero di unatradizione che permette di socchiudere una porta e di tornare ad incontrare chi nel mondo non s’incontra più…..
Un istante sotto l‘acqua.
Un momentaneo istinto silenziatore del quotidiano, un affondare volontario e liberatorio, sempre più giù, a perdita di contesto e a guadagno di una pace liquida e fatta solo di sonorità lievi e lontane, echi immensi risonanti mondi antichi non di anni ma di profondità…
Sospesa e avvolta nell’acqua pesante che nega il mio peso, abbracciata dalla forza che spinge verso l’alto, animata dal proposito che mi mantiene verso di essa in contrasto, trattenuta nel respiro, ad occhi aperti, a ciglia lunghe, ad abiti gonfi….
E la superficie è così poco distante e così differente da quel punto di vista, morbida e mossa nella linea di contorno, vaga e illuminata da una fonte come luce al neon verso l’interno di un infinito quieto che mi accoglie e mi respinge al contempo…
“…l’universo-profondo-oceano…” permette solo soste transitorie, stringe ai fianchi la sua regola con mani ampie e insistenti, insegna che c’è un posto e un tempo per ogni cosa, che nascondersi e sottrarsi è una soluzione provvisoria con un timer relativo, che quasi subito viene l’attimo di risalita, che esporsi all’aria è sempre più importante, che il respiro non si può sprecare ma neanche conservare, che l’impeto di andare verso l’alto supera di gran lunga quello della discesa e che la luce è più bella se non ci sono ostacoli….
La vita, la natura sanno già cosa fare.
…il profumo vive nel tempo, ha la sua giovinezza, la sua maturità e la sua vecchiaia. E soltanto se emana un aroma ugualmente gradevole in tutte e tre queste età della vita, si può definire riuscito. Quante volte è già avvenuto che una miscela fatta da noi alla prima prova avesse un odore fresco e stupendo, dopo qualche tempo sapesse di frutta guasta e infine emanasse soltanto un disgustoso odore di zibetto puro, che abbiamo aggiunto in dose eccessiva?”
(da Il profumo, P. Suskind)
Passi falsi? Chi di noi non ha paura di compiere passi falsi e di miscelare profumi che non riescano ad essere duraturi? Vorremmo che le nostre scelte fossero profumatamente perfette e certamente riuscite, che ci dessero visioni chiare del loro esito, immagini rassicuranti a conferma dell’interezza del nostro intuito, a riprova dell’esattezza del nostro istinto…
Chi non ha affrontato le conseguenze di un passo falso?
E non si è dato la colpa per aver aggiunto quella dose eccessiva di zibetto puro?
Avremmo potuto muoverci verso un’altra direzione, dire altre cose, scegliere una differente posizione, assumere un diverso ruolo, distillare componenti capaci di produrre una fragranza indiscutibilmente riuscita.
Ma niente è indiscutibile, è sempre un discorso di variabili e di elementi contingenti, di fortuna anche, o di destino…
Quello che conta è la testardaggine nel riprovarci, e la saggezza nel saperne accettare i risultati.
La verità è che ci sono molti maestri profumieri al mondo e che gli altri sembrano sempre agire per il meglio mentre noi siamo portati ai sensi di colpa e a guardarci in maniera critica, ma nessuno è in grado di percepire le fragranze e di captare le singole parti di un’essenza come noi, che inconsciamente sappiamo quello di cui abbiamo bisogno e sentiamo quello che possiamo dare, quello che possiamo mettere in gioco – senza trattenere nulla, senza riserve da preservare per un futuro sempre incerto e inconoscibile: quello che abbiamo è solo l’ora, il momento – per filtrare e lambiccare quel profumo che vive nel tempo, che ha tre età come noi, e che ci accompagnerà mantenendo però la sua natura effimera e volatile, senza mai dirlo, senza mai dichiarare la sua permanenza.
"La mia anima è una misteriosa
orchestra; non so quali strumenti suoni e
strida dentro di me: corde e arpe, timballi
e tamburi. Mi conosco come una sinfonia."
orchestra; non so quali strumenti suoni e
strida dentro di me: corde e arpe, timballi
e tamburi. Mi conosco come una sinfonia."
Bernardo Soares
DOPPIO CUORE
Capita che hai troppe energie in corpo e che non riesci a stare fermo, che le mani si muovano costantemente, che la testa viaggi veloce, che il cuore batta molto forte…
Allora prendi la strada.
Una strada che è già stata misurata ma che tu continui a misurare in soffi e respiri, in un battere e levare di gambe che si fanno sempre più forti, sempre più robuste mentre senti il tuo corpo rispondere alle spinte di un impeto interno che non riesci a trattenere, che non puoi fare a meno di assecondare.
E corri.
Corri compatto, corri saldo, resistente, e il fiato ti toglie e ti dona vigore e la strada ti scorta e ti guarda le spalle e ti chiede di seguirla senza cedere, che c’è un traguardo da qualche parte che puoi raggiungere, un traguardo da tagliare per sentirti bene, incredibilmente bene…
E sei lì con la pioggia e sei lì con il vento sulla faccia e la strada si prende l’inquietudine e si prende l’agitazione ed è dura tanto da metterti alla prova, tanto da spingerti ancora oltre.
Il tuo sangue scorre via vitale, pulsa nelle vene come palpita il cuore nel tuo petto quasi fossero due, dandoti la sensazione dell’onnipotenza, dell’assoluto benessere fisico che contagia, irraggiando, tutto l’essere, rendendoti una quiete che è frammista di soddisfazione, che ti fa guardare lontano e sorridere….
..a M.
venerdì, 13 ottobre 2006

PIANETA, NON-PIANETA
“Quel che vogliamo è far qualcosa che riempia totalmente la vista e che non possa usarsi per rendere la vita soltanto tollerabile”
(Sam Francis, 1957)
Che si parli di pittura o che si parli di musica lo scopo degli artisti è sempre quello di creare qualcosa di memorabile e come si fa a non prendere in considerazione un album che si conclude con un temporale?
Personalmente la mia mente corre all'istante a Riders on the storm dei Doors ma il riferimento potrebbe non essere calzante per un gruppo che annovera altri miti molto più pop nella bacheca del proprio immaginario musicale…
Di suoni, di passaggi piani e sfumati che si avvolgono vibranti attorno a ritmiche regolari ma fatte di slanci…di questo si tratta, di questo parla il primo ascolto diMemo storie, slanci elettronici, slanci frammentati nella voce e nella corrente emotiva del testo del primo pezzo, accentato, cadenzato su una base dai diversi echi tra gli ’80 e i ’90 che permane anche negli altri brani.
“Cadere fa male ma favorisce il volo…” di chi si mette in gioco, di chi rischia e sta in bilico sul cornicione delle proprie ambizioni e delle proprie ispirazioni, come fanno iPlanetanon, nuovi, accesi, alla ricerca di una propria identità già fortemente potenziale, fatta di individui differenti e differentemente colorati i cui estri si stanno amalgamando in una campitura che diventerà mano a mano più armonica con l’andare dell’esperienza e delle opportunità e con lo svestirsi degli abiti che ancora li influenzano alterando un’esclusiva riconoscibilità.
La dicotomia elettronico-melodica, che scivola gradevole e decisamente radiofonica attraverso le dodici tracce, dinamizzate dal doppio registro italiano-inglese delle liriche, evoca, sottolineata da alcuni passaggi vocali particolarmente coinvolgenti e da certi giri di frase efficaci (“Forse è per l’assenza d’equilibrio / che non riesco a trattenere ciò che mi appartiene…”; “ Per essere cosciente / dietro l’apparenza / io sto svuotando la sostanza…”; “Come sempre mi ritrovo nell’errore / fra un divenire e un venir meno in questo andare…”; “Perdo tutti i pezzi che cerco dentro ai sogni che fai / cerco tutti i pezzi che perdo dentro ai sogni che fai…” ), discorsi sulla sonorità, sulla piacevolezza estetica del suono, del timbro, della nota, singolarmente presi ed armonizzati, com-posti, messi insieme su un piano come si fa con i colori puri e poi assemblati, fusi, accordati con creatività, stimolo ed energia, e del gruppo e dell’ascoltatore.
Kandinskij, pittore di uno spiritualismo simbolico che lega fortemente colori e musica, pittore alla ricerca di forme artistiche che compenetrino le espressioni esteriori con le sensazioni interiori, dice che il tonalismo cromatico e il tonalismo musicale si corrispondono nel blu, colore equilibrato che sale facilmente al bianco e scende altrettanto facilmente al nero; ora, un gruppo giovane come i Planetanon questo equilibrio non lo ha ancora raggiunto e, più che di blu, per quanto riguarda il loro primo progetto, si può parlare di picchi di bianco, di nero e di rosso, come è giusto che sia e come è bello che sia, considerato anche che Grohmann di Kandinskij scrive che le sue variazioni “sono armoniche e ritmiche più che melodiche e i suoi quadri sono portati per la maggior parte a un suono fondamentalmente azzurro, rosso, giallo in diverse gradazioni e sfumature e ritmicizzati diagonalmente…”.
Non un pianeta, dunque, ma da un pianeta uno sguardo su un universo scuro e puntinato di stelle (“…per quella verità nascosta in fondo all’universo che dà un senso al movimento e ad ogni cambiamento…” ) nel quale si è piccoli e dispersi,assenti, momentaneamente sospesi, in cerca della direzione migliore, compresi in un silenzio che è cosmico e che si cerca di riempire di suoni che lascino un segno.
E questo è anche il mio augurio per loro.
M.S.
"E' la versione bianconera
dei miei pensieri
che pulsa
dalle braccia
alle labbra,
per sentire il mondo
con il tocco
ed annusare
la sua essenza."
(08.05.03)
"Every finger in the room is pointing at me.
I wanna spit in their faces, then I get afraid of what that could bring. I got a bowling ball in my stomach, I got a desert in my mouth.
Figures that my courage would choose to sell out now. I've been looking for a savior in these dirty streets.
Looking for a savior beneath these dirty sheets.
I've been raising up my hands, drive another nail in.
Just what God needs- one more victim.
Why do we crucify ourselves? Everyday, I crucify myself.
Nothing I do is good enough for you. Crucify myself, everyday.
I crucify myself. My heart is sick of bein'- I said my heart is sick of bein' in
Chains... oh-oh.
I wanna spit in their faces, then I get afraid of what that could bring. I got a bowling ball in my stomach, I got a desert in my mouth.
Figures that my courage would choose to sell out now. I've been looking for a savior in these dirty streets.
Looking for a savior beneath these dirty sheets.
I've been raising up my hands, drive another nail in.
Just what God needs- one more victim.
Why do we crucify ourselves? Everyday, I crucify myself.
Nothing I do is good enough for you. Crucify myself, everyday.
I crucify myself. My heart is sick of bein'- I said my heart is sick of bein' in
Chains... oh-oh.
Chains... oh-oh.
Got a kick for a dog, who’s beggin' for love.
I got a have my suffering so that I can have my cross.
I know a cat named Easter, he says, will you ever learn.
You're just an empty cage, girl, if you kill the bird.
I've been looking for a savior in these dirty streets.
Looking for a savior beneath these dirty sheets.
I've been raising up my hands, drive another nail in.
Got enough gilt to start my own religion.
Why do we crucify ourselves? Everyday, I crucify myself.
Nothing I do is good enough for you. Crucify myself, everyday.
I crucify myself. My heart is sick of bein'- I said my heart is sick of bein' in,
Chains... oh-oh.
Got a kick for a dog, who’s beggin' for love.
I got a have my suffering so that I can have my cross.
I know a cat named Easter, he says, will you ever learn.
You're just an empty cage, girl, if you kill the bird.
I've been looking for a savior in these dirty streets.
Looking for a savior beneath these dirty sheets.
I've been raising up my hands, drive another nail in.
Got enough gilt to start my own religion.
Why do we crucify ourselves? Everyday, I crucify myself.
Nothing I do is good enough for you. Crucify myself, everyday.
I crucify myself. My heart is sick of bein'- I said my heart is sick of bein' in,
Chains... oh-oh.
Chains... oh-oh.
Please... be... save... me... I... cry... uh huh, uh huh.
Looking for a savior in these dirty streets.
Looking for a savior beneath these dirty sheets.
I've been raising up my hands, drive another nail in.
Where are those angels when you need them?
Why do we crucify ourselves? Everyday, I crucify myself.
Nothing I do is good enough for you. Crucify myself, everyday.
I crucify myself. My heart is sick of bein'- I said my heart is sick of bein' in,
Chains... oh-oh. Chains...
(Why do we... crucify ourselves)
Why do we... yea, chains. Crucify ourselves everyday. Oh oh oh oh oh.
No, chains, oh, yea, yea, chains, oh oh oh oh oh oh.
Never going back again, oh, crucify myself again.
You know, never going back again to crucify myself, everyday..."
Please... be... save... me... I... cry... uh huh, uh huh.
Looking for a savior in these dirty streets.
Looking for a savior beneath these dirty sheets.
I've been raising up my hands, drive another nail in.
Where are those angels when you need them?
Why do we crucify ourselves? Everyday, I crucify myself.
Nothing I do is good enough for you. Crucify myself, everyday.
I crucify myself. My heart is sick of bein'- I said my heart is sick of bein' in,
Chains... oh-oh. Chains...
(Why do we... crucify ourselves)
Why do we... yea, chains. Crucify ourselves everyday. Oh oh oh oh oh.
No, chains, oh, yea, yea, chains, oh oh oh oh oh oh.
Never going back again, oh, crucify myself again.
You know, never going back again to crucify myself, everyday..."
(Crucify, Tori Amos)
“La conoscenza è potere fintanto che non la si guasta mischiando un elemento di conoscenza con un altro, e non si tenta di inghiottirla trasformando tutto in sangue e sentimenti.”
(A.S. Byatt, La vergine nel giardino)
Un errore che faccio sempre e che mi piace fare, inghiottire e trasformare tutto in sangue e sentimenti. E’ la mia indole, non posso farne a meno. Mi dicono che sono troppo piena di cose, mi dicono che sento tutto troppo, ma tolto l’impeto emotivo che accompagna, addensa e sfuma la mia pur sviluppata razionalità che cosa ne rimane di me? Neanche il mio intelletto esiste fuori dalla mia sensibilità, fuori dalla mia percezione complessa e volumetrica delle cose, fuori dal dialogo che stabilisco fra tutti gli elementi sentendoli bene dentro, accettando anche le note più fonde per poterle capire.
Un libro che leggo, una canzone che ascolto e riascolto, la pioggia che cade proprio oggi e quella di un giorno passato, le parole che mi hanno detto, quella mano che ho sfiorato, quella frase che ho scritto e quella sensazione che l’ha accompagnata cadendo al centro di me e irraggiandosi ovunque, definendo il mio essere in un istante puro e perfetto, la tranquillità e l’agitazione, l’inquietudine soprattutto, che ha note gravi ed alte, che spinge, che porta…
La letteratura americana e tutta la letteratura, la lettura iconologica dell’arte, l’astronomia folklorica dei saggi di Cattabiani, il femminismo mistico di Tori Amos, le conversazioni notturne con chi ha molto da dire, le note del mio pianoforte, il teatro shakespeariano, il preraffaellismo… tutto rientra nella mia sfera di conoscenza e tutto si dilata e si relaziona continuamente alla ricerca di un anello di congiunzione che esiste, per me, perché lo sento, io che misuro tutto in base alle mie sensazioni: la verità, l’esistenza, la validità, la bellezza, se le sento vuol dire che sono, e ogni elemento porta colore e viene ad abitarmi e a caratterizzarmi come se mi disegnasse su un supporto che ha tutte le dimensioni e non ne ha nessuna in confronto a tutto quello che non so, che non conosco, che non comprendo, che non ho visto, che non ho udito, che non ho ancora sentito…
In ogni caso ogni conoscenza ha diversi aspetti che provocano eco all’interno e verso il basso e richiami e riflessioni verso l’alto, attraversando il mio corpo come uno strumento a corde, come una dimora, come una terra dove mettere radici e insediarsi stabilmente per proliferare, e a questo si sposano interessi che non sono propriamente miei ma arrivano dall’esterno e che si presentano come stimoli, luci piccole o grandi che sommano velature e addensamenti cromatici, che aggiungono patine o sollecitano al punto di penetrare oltre la superficie, diventando poco alla volta anch’esse parte di me…
L’addizione delle conoscenze, l’unione di un elemento di conoscenza con un altro, l’assorbimento delle nozioni attraverso mente e tessuti, il loro fluire nelle vene col sangue, nel petto con i sentimenti sono il mio modo di esistere e vivere, con le mani pronte a prendere, acquisire, stringere avidamente quello che riesco ad apprendere, quello che provoca un battito, un brivido, una vibrazione, un’epifania…
E del potere non m’importa niente.
"Chi cerca suole mai trovare certezza.
Io cerco senza mai trovarla una certezza dove
poter gettare tutte le forze di una mia lontana miracolosa vita,
forse sognata, forse trascorsa
un poco troppo col cuore nella mano,
un poco troppo bella dell'anima
ch'io cerco ancora senza mai stancarmi
troppo sperando d'incontrarla..."
OSVALDO LICINI 1949
Ma le certezze sfumano e svaniscono come ogni essenza effimera, illudendo solamente della loro presenza, della loro concretezza. Si deve stare al gioco, si deve vedere dove porta la strada, quanto lontano, quanto intensamente, con quali lezioni sottese, con quali nuovi scenari, e si deve aprire il petto e si devono aprire gli occhi e si deve essere pronti a sentire tutto dentro e addosso e si deve essere dolci e si deve essere forti, per crescere, per vivere...Ed ho imparato, mi fido solo dei fatti. Dopo che sono accaduti, dopo che li ho avuti tra le mani, nelle mani e sulle mani per un po' e li ho sentiti stringere e voler essere, a quel punto diventano una certezza... che c'è stata... ma che forse non ci sarà.
Quel che è certo è che ne vale la pena.
Tempo fa ho scritto in un racconto che
chi parte può anche tornare
mentre chi non parte rischia di non tornare più.
Ad un amico coraggioso....
Buon viaggio!
Marta
chi parte può anche tornare
mentre chi non parte rischia di non tornare più.
Ad un amico coraggioso....
Buon viaggio!
Marta
“Settembre , la notte al dì contende”
Mi perdo nella coda di queste giornate, nelle ultime ore di luce che sono sempre più brevi, che sono sempre più opache…
Si deve per forza riempirle, si deve per forza evitare di pensarle perché nella loro apparente timidezza e irrilevanza sono invece feroci di silenzio e di assenza.
Non mi piace.
Settembre è solo l’eco dell’estate, indefinito, instabile, incostante, indeciso…lascio che passi e mi attraversi senza mettere radici.
Eppure anticamente non era solo fine, era anche principio.
A settembre il sole scende dalla parte settentrionale a quella meridionale dello zodiaco, scende negli inferi del semestre autunnale-invernale, quando la notte prevale sul giorno e lascia spazio al sonno, al freddo, al letargo… la luna si fa nera, frapposta tra il sole e la terra, e allude alle nozze celesti di Persefone rapita mentre coglie narcisi da Ade, re degli inferi, che la trascina nella notte infernale…eppure è anche il mese dell’uva, delle noci, delle castagne, frutti nuovi e ricchi, dal valore sacro e anche profano, che assaporo sempre con gusto, che mangio con soddisfazione.
Uno dei miti che prediligo narra di Dioniso tornato sulla terra invitato da Icaroche voleva apprendere l’arte del vino. Innamoratosi senza essere corrisposto della figlia del suo ospite, il dio si tramuta in un grappolo d’uva pieno e carnoso, così invitante che la giovane non sa resistergli, ma non appena lo avvicina alle labbra il frutto si trasforma nella bocca di Dioniso, nella fronte, negli occhi, nelle braccia, finché l’intero dio non riacquista le sue sembianze umane e divine e conquista la ragazza riluttante cingendola con malia e sensuale astuzia.
Ha i suoi lati affascinanti e i suoi aspetti interessanti questo mese ma è pervaso sempre da un’aura di malinconia che mi spaventa, che mi rallenta, che mi avviluppa priva di calore e mi stordisce finché non arriva il freddo, il più deciso inverno.
Preferisco i clima rigido, scelgo sempre i solstizi sugli equinozi.
Tuttavia settembre è fatto anche di buoni numeri.
Viene dal latino september, perché era il settimo mese dell’anno in epoca arcaica, quando i mesi si contavano a partire da marzo, ed è il nono mese dell’anno secondo il nostro calendario e il nove, multiplo di tre, è un numero che esprime il rapporto tra l’origine del tutto, la trinità e il mondo visibile: i neoplatonici alessandrini affermavano che la trinità primordiale si suddivideva in tre formando nove principi su cui si reggeva il cosmo, nove sono gli ordini angelici, nove è il numero che Dante attribuisce a Beatrice, riflesso di luce, donna angelo e donna guida…
Ogni ternario è compiuto e perfetto in sé e il nove che è composto di tre ternari riporta al concetto di unità, completa un ciclo e ne annuncia contemporaneamente uno nuovo, un inizio o una trasposizione degli avvenimenti su un nuovo piano…..
Forse è per questo che mi sento così contratta, così in una sorta di assenza di me: perché settembre è un preludio, una preparazione e perché – come qualcuno mi ha fatto notare ultimamente – io faccio come i bambini che fanno qualche passo indietro prima di compierne uno importante.
"Dov 'è la rosa che nella tua mano
prodiga, e non lo sa, intimi doni?
Non nel colore, perchè il colore è cieco,
non nel dolce profumo inesauribile,
non nel peso di un petalo. Codesti
sono parziali e già smarriti echi.
La rosa vera sta ben più lontano.
Può essere un pilastro o una battaglia
o un firmamento d'angeli o un mondo infinito,
segreto e necessario,
o il giubilo di un dio che non vedremo
o un pianeta d'argento in altro cielo
o un terribile archetipo che non ha
la forma della rosa."
(Jorges Luis Borges, 1986)
A tutti quelli che questa rosa cercano in se stessi o altrove, a tutti quelli che la vanno a cercare nei viaggi o nelle persone, a tutti quelli che tentano di esprimerla o di disegnarla, a tutti quanti la sentono e la percepiscono anche senza vederla...
martedì, 19 settembre 2006

17 settembre 2006, Datch Forum Milano
Go, Last exit, Save you, World wide suicide, Corduroy, Severed hand, Unemployable, Even flow, I am mine, Man of the hour, MCF, Daughter (Another brick in the wall), Faithfull, Comatose, State of love and trust, Why go, Picture in a frame, Parachutes, Black, Crazy, Mary, Given to fly, Alive, Do the evolution, Big wave, Leash, Rockin’ in a free world, Yellow Ledbetter.
Io e gli amici, i vecchi, i nuovi. Io e i Pearl Jam…
Ad ogni concerto tutto sale ancora in superficie, le sensazioni, le immagini…la mente sfoglia e sovrappone le diverse esperienze, il petto batte e respira le melodie, i ritmi, i timbri, le vibrazioni…
La musica s’impossessa di te.
Le foto, le presenze, le distanze, non conta più niente oltre alle tue mani, oltre al fatto che sei in quel mentre, in quel frangente di tempo armonico e modulato, di tempo scandito e gridato, di tempo che scorre sulla scia delle battute, sulla linea delle corde della chitarra, sulla ritmica degli strumenti e dei corpi così uniti, così presi insieme che ti senti il torace gonfio da esplodere in coriandoli dorati di note e di energia…
Li vedi muoversi sul palco come uomini e musicisti che scelgono di dare spazio al fuoco della loro voce e del loro talento, privi quasi di una scena in cui esibirsi, persi nella loro bravura, ardenti di suono e luce, accesi di gusto e di divertimento come te, che sei esattamente di fronte a loro e che respiri lo stesso impeto, incapace di stare ferma, incapace di stare zitta….
E l’intera cornice dei tuoi compagni in questo viaggio rock ha la sua importanza, ha la sua influenza nello specifico del tuo sentire, perché siete tutti – insieme – parte di un momento che lega, che incolla, che raddoppia le forze, che infonde complicità e ti viene da ringraziarli, per cui grazie Sonia, Fabio, Gianluca, Manuele, Stefano…e al prossimo concerto!
“A wave came crashing like a fist to the jaw
Deliver him wings, ‘Hey look at me now!’
Arms wide open with the sea as his floor
Oh power, oh...
He’s flying whole
High, wide, oh...”
(Given to fly, Pearl Jam, Yield)
10 maggio 1980...
...Questo era il mio terzo compleanno...
...oggi sarebbe stato il tuo ventinovesimo....ma bacio ancora la tue guance speciali da distanze che in qualche modo riusciamo sempre ad aggirare...
Buon compleanno Lo'....
“Resto tra gli alberi, verso l’interno
lontana dagli altri, con una rosa al polso
ci sono luoghi muti, luoghi fermi dove annusi lo spazio eterno…”
…e fermo sembra lo spazio che ti racchiude e silenzioso è il tempo che smette di scorrere…
Rimani sospesa e morbida in un vuoto di ovatta che si è creato per caso, per un solo momento del tutto tuo, di cui nessun altro ha percezione, e non comprendi bene questo stato alterato delle cose, guardi in giro e tutto è tenue e l’aria è debole ma fresca e profumata e la luce, la luce soprattutto è diversa, è mattinale, è quasi liquida, delinea i volumi delle cose come fa Guttuso, trasforma i tuoi contorni come fossi differente, come non fosse proprio il tuo corpo, come non fosse proprio il tuo spirito…
“Sono visibile, chiara e pulsante
sono un cuore esposto
sono un gioia infinita urlante
sono un brivido esteso all’universo
che rimane fermo…”
Lo stadio della transizione…
Quella specie di limbo indefinito che ti permette di attraversare i suoi campi elisi soltanto in determinati momenti di consapevolezza o d’inconsapevolezza estrema, diretta a tutto quello che non sai, a tutto quello che davvero non puoi prevedere, con lo scopo implicito ma ignoto di farti smarrire la strada per trovare una te stessa aggiunta di uno strato ma inspiegabilmente anche sottratta di una veste, precisamente quella che t’impediva la migliore visibilità sullo svolgersi delle tue azioni che adesso, in questa luce schiarita, si sciolgono più fluide e indipendenti, semplicemente più lente e più giuste.
“…niente è nascosto
solo linee precise su fondi bianchi…”
(da Il nido, Cristina Donà)
Presa dentro ad un’apparente dispersione di molecole o, al contrario, concentrata in un addensamento ti soffermi in una sorta di sequenza dissociata o sfuggita alla catena temporale ed è come nello spazio del pensiero, dove le componenti essenziali fluttuano con le superflue, le strutture assieme ai colori, e tu ti chiedi se sia il caso si contarle separate o di vederle come una danza sincronica ma le tue azioni ti precedono, sono più veloci delle riflessioni, più dinamiche delle congetture perché sei nel luogo che le supposizioni le frantuma, che reagisce, che attua…così vedi le tue mani che scrivono frasi d’aria composte di periodi complessi e profondi ma incredibilmente decifrabili, vedi le pennellate degli accenti e degli apostrofi cadere come in un’opera gestuale, un dripping di chiazze istintive, umane e perfette…e ne sei stupefatta, eppure sei tu.
Vaghe riflessioni sospese, un po' curve, poco piane...
Oggi sono in logout…
Ho bevuto tutto il sole che la giornata aveva da offrirmi, ho respirato tutto il vento che le ore hanno scelto di crearmi attorno e ora mi sento stordita, e non riesco a capire se è una sensazione piacevole o no.
Stordita come se avessi bevuto, ubriaca di sensazioni, sopraffatta di strani pensieri dalla coda spezzata, mezzi ricordi, mezze dispersioni…
Stordita come se avessi fumato, narcotizzata dalle percezioni, confusa dalle intenzioni…
Di aprirmi un varco dice Jim allo stereo, un varco dall’altra parte e certo parla di dimensioni lui, mentre parlo di tempi io, ritmi, battute, cadenze, scansioni…un andare di tempi che non incontro mai nella maniera esatta, sempre un po’ in ritardo, stavolta un po’ in anticipo forse e quel forse mi crea particolare prurito, mi toglie la visibilità, mi fa andare a 120 su una superstrada che dopo la curva magari scorre liscia, oppure ha una rientranza, un blocco, un vuoto forse…forse…
E quel forse vuol dire tutto e niente, e quella curva che copre vuol dire soprattutto attesa, può voler dire sboccio o negazione, approfondimento, voglia di entrare e avanzare e scoprire i confini di quella che sono, chi sono, le mie potenzialità, le mie certezze, può voler dire leggermi fino all’ultima riga, fino all’ultima parola, fino a quella che farà la differenza, che cancellerà tutto quello che altri, galleggianti in un mare comune, hanno tracciato in frasi, segni, figure, voci…quella curva che nasconde potrebbe essere come la curva della terra, che è stata fatta rotonda affinché non potessimo guardare troppo in là nell’orizzonte, mettendoci nella condizione di poter essere troppo avventati da suonare un andante con espressione, un allegro con spirito dove c’era un adagio, un moderato…
Frastornata dunque, dai postumi di un elevato sentire credo, quello che mi dilata l’animo in presenza di un accento potenzialmente musicale, quello che estende i riflessi di ciò che riesco a vedere, quello che incendia la mia sensorialità già difficile da gestire, quello che sembra abbastanza interessante da spingermi a voler capire…
Fatta di rose a volte mi appaio, fatta di rose e governata da Venere, astro della mia nascita, pianeta del mio segno, dotata di un istinto che mi porta a vivere le cose con l’intensità di chi ha certezze, di chi conosce l’andare del tempo, lo scorrere della musica sullo spartito, decisa, con un carico di gradazioni e sfumature che in passato hanno voluto più neutre, smorzate nelle tinte, attenuate nei profumi…eppure io muovo una canzone solo mia, titubante, priva di stabilità, al di fuori di una linea riconoscibile, alla ricerca di un accordo in maggiore che forse verrà…forse…
Che cosa me ne faccio di Venere e delle rose? La rifiuto? Le butto? L’ho fatto per qualcuno anni addietro ma poi, con prepotenza, lei è rispuntata, loro sono rifiorite e ho giurato di non negare più me stessa, di essere, semplicemente, complessa come sono, con i miei ideali fuori dal tempo, senza i bianchi o i neri bensì con le mie terre d’ombra bruciate, con i miei rossi Scipione, con tutta la scala dei verdi e con gli alti e i bassi dei blu…soprattutto con dignità, l’astrazione su cui baso da sempre la mia intera esistenza che cerca di non ritrarsi di fronte a quel che c’è da vivere – ora che molti, cari, non hanno più tempo, strade, mondi, forse, rose da vivere – che cerca di non perdersi nessun verso di poesia, nessun abbraccio di violoncello, nessuna pennellata di terra o di pioggia, nessuna luna nel cielo, nessun richiamo nel sogno, nessuna voce del ricordo, nessuna condivisione offerta, nessuna verità del sentimento, nessun volo dell’intelletto...
...e mi sento di dire grazie.
"Ascolta,
se delle stelle brillano,
significa che qualcuno ne ha bisogno,
significa che qualcuno vuole che esistano,
che qualcuno trova quelle macchie di sputo stupende.
Ed eccitato,
nel turbinio di polvere del pomeriggio,
irrompe su Dio,
temendosi già in ritardo.
In lacrime,
bacia la mano nerboruta di Dio
e lo supplica di garantire
che di sicuro ci sarà una stella.
Giura che non riuscirebbe a sopportare il tormento di essere senza stelle.
Più tardi
girovaga, in tumulto,
ma calmo all'apparenza.
E, a qualcun altro, dice:
'Adesso,
tutto va bene.
Tu non hai più paura,
vero?'
Ascolta,
se delle stelle brillano,
significa che qualcuno ne ha bisogno.
Vuol dire che è essenziale
che ogni sera
almeno una stella si arrampichi
sopra la cima della casa."
se delle stelle brillano,
significa che qualcuno ne ha bisogno,
significa che qualcuno vuole che esistano,
che qualcuno trova quelle macchie di sputo stupende.
Ed eccitato,
nel turbinio di polvere del pomeriggio,
irrompe su Dio,
temendosi già in ritardo.
In lacrime,
bacia la mano nerboruta di Dio
e lo supplica di garantire
che di sicuro ci sarà una stella.
Giura che non riuscirebbe a sopportare il tormento di essere senza stelle.
Più tardi
girovaga, in tumulto,
ma calmo all'apparenza.
E, a qualcun altro, dice:
'Adesso,
tutto va bene.
Tu non hai più paura,
vero?'
Ascolta,
se delle stelle brillano,
significa che qualcuno ne ha bisogno.
Vuol dire che è essenziale
che ogni sera
almeno una stella si arrampichi
sopra la cima della casa."
( Ascolta!, Vladimir Majakovskij)
giovedì, 07 settembre 2006

Cosa generano le paure…
Cosa genera un distacco non immaginato, cosa genera una strana forma di dolore a volte…
La osservi starsene lì contratta e trattenuta, la osservi attraversare il tempo lento che si ostina a non trascorrere per lei, la osservi tenersi a lato, rabbuiata, incerta, svuotata e riempita di qualcosa d’informe che monta e monta, e tu non puoi tenderle neanche una mano tremante perché andresti giù come nelle sabbie mobili e sai che sei l’unica a poter rimanere sulla roccia, adesso sei l’unica a dover rimanere salda senza offrire una spalla, senza stringere e baciare, che sarebbero abbracci nocivi, che sarebbero baci sbagliati…
Devi essere lucida e lasciare che faccia il suo percorso a ritroso verso la fonte di se stessa, da sola.
E un giorno lei esplode dove tu temevi un’implosione, esplode e lo fa in silenzioso paradosso, nell’interno emotivo di una stanza interiore, nello spazio racchiuso di un ambiente domestico trasformato d’impulso in un portale spalancato su una dimensione a lato, una dimensione sui suoi colori, sui suoi sentieri, sui suoi sospiri, sulle sue ali…
La vedi riprendere in mano i pennelli, la vedi frenetica e curva sulle tele, la vedi preda della trasformazione, del rifluire degli stati d’animo nelle forme che non hanno forma, nelle campiture che non hanno attesa, la vedi aver fagocitato tutti gli stimoli che le hai spinto a forza nella gola e la vedi estrinsecarli in qualcosa che porta il suo nome, che esprime la sua mano, che aiuta quel germe che le agita lo stomaco a domarsi e a dare tregua ma la tregua non ti basta…vorresti giorni e giorni di questa euforica frenesia, vorresti avere un poco di stabilità su cui contare, per lei e per te, ma sai che potrà farcela, che potrà vedersi e ritrovarsi, che si è già ritrovata.
Leggere libri presi in prestito, stringere un supporto tenuto a lungo tra le mani da qualcun altro, qualcuno che quel volume lo ha scelto tra tanti e ci ha lasciato sopra le impronte e ci ha lasciato dentro i pensieri…
Entrare in contatto con l’universo scritto dall’autore, l’universo del contenuto e della forma stampati, ed insieme accostarsi all’universo del proprietario, trovare qualcosa che è rimasto distrattamente tra le pagine, lo scontrino di un locale, un biglietto usato del treno, ritrovare un particolare profumo impresso sulla carta attraverso le dita, l’aroma del luogo dove il libro era riposto, la fragranza specifica che ci caratterizza e che rimane anche nel corpo delle nostre cose…
Poi arrivano le frasi sottolineate, a matita, a penna, gli appunti, le glosse, e quando arrivano la lettura diventa a più livelli: leggiamo l’autore e poi leggiamo il lettore che si è ritrovato in quella frase e poi leggiamo noi stessi in relazione a quella scelta e iniziamo a configurare un contesto di cui il libro è solamente l’espediente scatenante…e il primo pensiero che scatta è quello della discussione riguardo quel periodo sottolineato, lo scambio, la condivisione, cioè il reale intento del prestito e ci sentiamo complici e ci sentiamo vividi…
Dall’aspetto del tomo intuiamo o riconosciamo dettagli di comportamento di chi lo ha comprato e lo ha letto prima di noi, la cura che ha delle cose (qualcuno una volta mi ha detto che avrebbe riservato alla sua donna la cura che riservava ai suoi libri…), piccole abitudini annotate sulle pagine iniziali o finali, a volte l’emergere di un’intensità di lettura, che avvertiamo per una ritardata empatia o che notiamo per la profondità del tratto di sottolineatura o ancora per via di quello che c’è scritto ai margini se siamo fortunati…alcune pagine sembrano consumarsi tante sono le volte che le rileggiamo, sembrano variare colore e tono tanta è la forza d’assorbenza con cui tentiamo di farle nostre…ed il secondo attento lettore coglie ogni sintomo, coglie ogni sospiro…
Aggiunge poi un accento chi ci presta un libro senza che lo abbiamo chiesto, perché vuole che percorriamo un cammino nelle sue impronte, perché pensa che quella lettura sia adatta a noi, lui che ci ha osservati, lui che ci ha sondati e che vuole lasciarsi leggere nelle parole di un altro autore ma con il nostro tono, con la nostra voce…
Sono libri che passano da due mani ad altre due quelli di cui parlo e che poi tornano indietro arricchiti di un’esperienza, rinforzati di una condivisione, profumati di un nuovo profumo che è misto di due fragranze.
Come se ogni volume andasse incontro ad un suo destino, come se nelle pagine bianche che sono cornice del testo si scrivesse una storia di passaggio invisibile ma percepibile, nel silenzio della libreria…
“…lo scrittore era solo quando scriveva, e il lettore era solo quando leggeva, e sono stati soli l’uno insieme all’altro…”
(da Possessione, Antonia S. Byatt)
( Mi si dice che non sono abbastanza attenta a certi dettagli...solo perchè non ho prestato attenzione alla macchina di Horatio Caine di CSI Miami...Ma davvero in tutto quel ginepraio di particolari scientifici, elementi chimici, minuzie narrative e circostanze complesse io devo accorgermi del modello di una macchina? Certo Horatio si vena di un alone misterioso e consapevole, è indiscutibilmente affascinante nella sua calma fatta di esperienza e intelligenza, è persino confortante nella sua gentilezza e nel suo sguardo volto alla distanza quando vuole dare enfasi ad uno snodo narrativo...ma, ecco, si prende tutta la concentrazione assieme al caso che va sviscerando...il fuoristrada perde attrattiva, anche se è il suo! )
Meteore.
Ci arrivano nella vita infuocate e luminose e ricche di sedimenti e bagliori che cadono sul terreno dove camminiamo e che scottano – perché naturalmente li calpestiamo a piedi scalzi – e sono così veloci…
Stelle cadenti.
Le chiamiamo spesso stelle cadenti, ma forse sono metoriti e sono di passaggio tra un mondo e l’altro, per questo dopo un attimo non le vediamo più.
Ma perché dobbiamo esprimere un desiderio dietro la loro scomparsa, dietro il loro fascio di luce vibratile e denso?
Perché si costella di desideri quello che si lascia stringere dallo sguardo soltanto per un po’, perché ci riempiamo di sogni e di aspirazioni quando ci guardiamo le mani e vediamo nei palmi soltanto una leggera polvere luminosa…
Siamo in perenne moto anche se costantemente cerchiamo la stabilità, tutti andiamo, viaggiamo assieme al cosmo intero, tutti siamo meteore di una qualche configurazione astrale, tutti come stelle preda del loro moto proprio, di quell’impercettibile spostamento dovuto ad un movimento intrinseco che varia lentissimamente la loro posizione reciproca e quindi la forma di una costellazione.
Un incessante leggerissimo cambiamento ci caratterizza tutti…
Ma dove stiamo andando?
“…e tutta quella strada che va, tutta la gente che sogna nell’immensità di essa, e so che nello Iowa a quell’ora i bambini stanno certo piangendo nella terra in cui lasciano piangere i bambini, e che stanotte usciranno le stelle, e non sapete che Dio è l’Orsa Maggiore?, e la stella della sera deve star tramontando e spargendo il suo fioco scintillio sulla prateria, il che arriva proprio prima della notte completa che benedice la terra, oscura tutti i fiumi, avvolge i picchi e rimbocca le ultime spiagge e nessuno, nessuno sa quel che succederà di nessun altro…”
(da Sulla Strada, Jack Kerouac)
Parentesi...
REGOLAMENTO: Il primo giocatore inizia il suo post con il titolo "Cinque mie strane abitudini" e le persone che vengono invitate a scrivere un post sul loro blog a proposito delle loro strane abitudini devono anche indicare chiaramente questo regolamento.
Alla fine dovrete scegliere 5 nuove persone da indicare. Non dimenticate di lasciare un commento nel loro blog o journal ke dice "sei stato scelto" (si accettano commenti) e ditegli di leggere il vostro...
In sostanza dovete fare come ho fatto io... Quindi prima riportate il regolamento, poi indicate le vostre 5 stranezze e infine nominate le 5 persone!
5 MIE STRANE ABITUDINI:
Alla fine dovrete scegliere 5 nuove persone da indicare. Non dimenticate di lasciare un commento nel loro blog o journal ke dice "sei stato scelto" (si accettano commenti) e ditegli di leggere il vostro...
In sostanza dovete fare come ho fatto io... Quindi prima riportate il regolamento, poi indicate le vostre 5 stranezze e infine nominate le 5 persone!
5 MIE STRANE ABITUDINI:
1. Quando scrivo al computer, quando mi prendo tutto il tempo per me, quando ho voglia di coccolarmi, a volte quando faccio colazione...bevo una tazza enorme di CAFFE' AMERICANO bollente, nero, amaro.
2. Quando compro un libro scrivo sempre il mio nome la data del giorno in cui l'ho acquistato sulla prima pagina, poi ASPETTO CHE MI CHIAMI per leggerlo, possono passare anche anni.
3. Se non sono in situazioni per così dire "ufficiali", non siedo mai in posizioni convenzionali, sento sempre il bisogno di STACCARE I PIEDI DA TERRA e di rannicchiare le gambe in qualche modo.
4. Quando dipingo devo stare scalza e con i capelli sciolti, in piedi davanti al cavalletto, solo in questo modo sento tutta la LIBERTA'.
5. Quando cucino devo essere sola, tutto il mio essere si concentra e poi si apre come un ventaglio, come una ruota di pavone, come i palmi delle mani, e quello che sento sembra FLUIRE NELLE PIETANZE che preparo con i sensi accesi, estremamente percettiva.
PASSO IL TEST A:
qwe, Nollysorfy, Voloalto, Neifile,
1 morso (che, se i "comproprietari" sono d'accordo, può postare sul 30 febbraio)
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